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mercoledì 13 novembre 2013

LA VITA DI ADELE - CAPITOLI 1 E 2 di Abdellatif Kechiche


La vita di Adèle”, recente trionfatore all’ultimo festival di Cannes, quasi non pare esser il frutto di una finzione attoriale, a tal punto quel che questa riproduce spesso pare sgorgare direttamente dalla fonte complessa, magmatica ed in costante tensione della vita stessa.

Di questo magnifico risultato la pellicola è debitrice - in parte consistente - alla eccellente interpretazione della giovanissima Adèle (Adèle Exarchopoulos), colei che sopra tutti è investita del compito di guidarci nel labirinto umano - sentimentale e non soltanto - che il film vuole rivelarci.

Preda di ondate passionali o sperduta tra le mille incertezze, Adèle è sempre di una impressionante naturalezza ed in virtù di questa in grado di condurci ben oltre la condizione della sua recitazione; la Exarchopoulos, con dolcezza ed ingenuità, ci trascina precisamente al centro della sua tempesta di emozioni: lapilli incandescenti di vita in eruzione, diluvio di sensazioni incontrollabili e difficili da razionalizzare.

Kechiche, da par suo, individua in un generoso uso di primi, primissimi piani e dettagli il metodo più efficace per creare un vortice che attiri a se ogni cosa ed annulli ogni distrazione possibile, totalizzando lo schermo nella sua interezza e non lasciando via di scampo all'immedesimazione progressiva dello spettatore.

A questo aggiunge poi la sua particolare predilezione nel mostrarci il rapporto dei suoi protagonisti con il cibo (ricordate “Cous Cous”'?), spargendo a piene mani inquadrature ravvicinate di bocche che tirano su spaghetti e si sporcano di sugo, poi che succhiano ostriche o addentano kebab.

L'istintiva e quasi primordiale carnalità cinematografica del suo modo di raccontare verrà accentuata ben di più quando - non avendo nessuna accondiscendenza nei confronti dello spettatore - giungerà il momento di filmare la dimensione dei corpi in amore: Kechiche valicherà allora senza timori i confini imposti dal tabù, lasciando il campo ad immagini prive di censura ed inibizione ed indugiando abbondantemente e senza limiti di tempo nel mostrarci la passione.

La vita di Adèle” (liberamente tratto dal fumetto “Il blu è un colore caldo” di Julie Maroh) è anche intriso di un sapore fortemente letterario: citazioni generose giungono da “La vita di Marianna” di Marivaux e dall’ “Antigone” di Sofocle; poi si passa a Sartre e successivamente – con una disinvolta capriola - si farà cenno ai testi delle canzoni del più giovanile Bob Marley.

Quanto letto nei libri indirizza ed in qualche misura “profetizza” ed annuncia quel che accadrà in seguito ma, più in generale, sono ogni parola - urlata o sommessa – e qualsiasi piccolo gesto o dettaglio che finiscono, quasi sempre, per conquistare particolare risalto ed importanza nel film di Kechiche. Gli spettatori più attenti non avranno difficoltà a riscontrare l'inscindibile legame sotterraneo della vita dei protagonisti con gli impulsi dettati dall'arte o dalle concettualizzazioni filosofiche; probabilmente molto più evidenti invece agli occhi di tutti gli sconfinamenti del sentimento tra sesso e passione e le strade parallele o contrastanti del piacere e della felicità.

Kechiche trova il modo di dare corpo e parola - come la poesia - “a mille ed altre cose che non c'è bisogno di capire”. Riesce a mostrare come l'arte, che talvolta confluisce con la vita, la lasci poi rifluire nuovamente fuori, uguale e diversa.

Poi sa anche guardare con profondità a cose più tangibili e concrete, come l'inevitabile peso del conflitto tra le diverse classi sociali ed alla sensazione di disagio che questo farà affiorare nel rapporto tra Adèle ed Emma (Léa Seydoux), l'altra bravissima protagonista della pellicola.

In questo magnifico film ogni cosa riesce a sembrare per quel che davvero è, ovvero una continua scoperta, dai libri al sesso, dall’assaggiare i frutti di mare al cercare il “gusto ed il sapore” delle relazioni personali: Adèle bacia le labbra degli altri, uomini o donne, come volesse assaggiar la vita e cercare risposte; poi punta i suoi occhi verso di noi e letteralmente ci sequestra con il suo sguardo e la sua spontaneità espressiva, accrescendo la sua influenza sullo spettatore ad ogni lacrima che si impasta nei fili scompigliati dei suoi capelli.

Kechiche scandisce un ritmo lento alla sua storia , quasi consigliandoci di “osservare la vita danzare al suo tempo”, l'unico che ce la possa mostrare davvero: nel suo territorio cinematografico ogni inezia ha uno spessore enorme, esattamente come nella realtà.


La vita di Adèle” è un continuo baluginare di istinti viscerali e passionali, un costante affluire di sensazioni che, muovendosi dai confini esterni della vita (quadri, pensieri, letteratura) spingono forte verso l'interno; è una esplosione di possenti estasi inconsapevoli e necessarie - del cibo o dei sensi, dei piaceri diversi che attingono alle stesse fonti - delle attrazioni reciproche inesorabili, dell’amore e delle sue tenerezze infinite, talvolta costretti loro malgrado a percorrere strade che potrebbero finire per essere ineluttabilmente divergenti.

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