Shakespeare respira un'aria nuova in “Cesare deve morire” dei F.lli Taviani, reinventato tra le mura di un carcere e “forgiato” per l'occasione in una singolare fusione di rimpianti, ricordi, sofferenze, emozioni e dialetti, levigato poi con cura da un pulitissimo bianco e nero e dalla maestria e dalla capacità di “racconto e di raccordo” di due registi italiani storici e che dopo “Venezia” ora sono “d'Oro” anche oltre i nostri confini, giustamente insigniti dai tedeschi con il loro premio cinematografico piu' importante.
Carcere di Rebibbia: Sezione di alta sicurezza....
…..Gente che si è macchiata di gravi colpe, additati dai piu' come uomini senza nessuna possibilità di tornare ad avere un ruolo sociale condiviso....
Questa la “compagnia” alle prese con lo struggente testo del bardo: un gruppo di “guardatori di soffitto”, uomini che per gran parte del giorno stanno sdraiati su di un letto con gli occhi all'insu'...ma il tetto non è il cielo e quel poster che si vede alla parete e rappresenta il mare sconfinato è solo un inganno per il cinema, a colori o in bianco e nero non importa.........dietro c'è una parete: un muro invalicabile e niente aria pulita.....
Recitare però è crescita, lavoro, recupero.....catarsi!!...
Un “nuovo” mezzo per meglio comprendere la differenza tra assassinio e sacrificio umano....Ad averla colta prima questa differenza forse ci si sarebbe incamminati per altre strade, chi puo' dirlo??..
A “Cassio” pare che Shakespeare sia vissuto tra i vicoli della sua Napoli, e se questa non è la verità è reale invece che lui ce lo stia accompagnando per mano adesso....non si tratta di “evasione del momento” (...e la metafora sarebbe a dir poco crudele...) ma di vita e sensazioni che riaffiorano....
La grandezza del teatro si impossessa di attori neofiti ma che si lasciano appassionare, e tutto accade senza che questi siano in grado di evitarlo perchè da sempre risiedono dentro di loro misteri e passioni, anche se ancora non del tutto conosciute....
Mentre Giovanni ora legge il “Debello Gallico”, fuori dai denti e dal copione riecheggiano dissidi e contrasti tra compagni di cella e si compie, con ancora maggiore nettezza, una fusione “non reversibile” tra realtà e finzione....di fatto ogni singolo protagonista sconfina in una nuova vita pur vivendo ancora e costretto dalle sbarre alla sua esistenza precedente....
Nel carcere Romano si leva alto il grido che accompagna la parola libertà, un urlo che non stona con le sbarre che lo circondano ma che non puo' oltrepassarne i confini perchè incatenato a debiti e colpe che una finzione non puo' e nemmeno ha il compito di estinguere...
…..però è magistrale nella sua semplicità la riflessione, niente affatto nuova ma mai come stavolta incisiva ed ammantata di lustro cinematografico, alla quale invitano i Taviani, sull'importanza dell'arte per il recupero di coloro che si sono perduti nei meandri del proprio errore...
Uomini “dall'altra parte” , dai quali ci divide un fiume dal letto largo e dalle acque che scorrono impetuose, uno scrosciare ribollente dove stentano ad affiorare la pietà e la comprensione per condizioni e vite differenti dalla nostra.
I Taviani, “assenti e vicinissimi”, sorvegliano ogni parola e ogni dettaglio e la finzione la combaciano infine perfettamente al reale.......Tutto è recitato, ma ogni gesto o parola è figlio di questa esperienza d'attori (diretta sul campo da Fabio Cavalli) che vien su “dal basso” e non di certo imboccata da navigati tessitori di cinema che anzi, al contrario, rigenerano anche se stessi in questo clima, probabilmente nascendo ad altra vita in un nuovo e rigeneratore inizio artistico...
Laddove a causa della reclusione forzata si è persa finanche la cognizione del “perder tempo” tornano alla loro accezione originaria, oppure ad una nuova ma intrisa di “pesante” significato alcune parole come “onore” e “coraggio”, spogliate del loro contenuto “deviante, criminale e mafioso”, mentre divengono nuovamente gravi e sinistre anche colpe considerate fino ad allora infinitesimali come l'ambizione....
Tradimenti ed uccisioni sulla scena riportano ad episodi di vita veramente vissuta, che in un terribile e doloroso passato hanno avuto differente forma e sostanza, accompagnate da parole “diverse ma uguali”....
Ed ora rabbia e pianto possono trovare vie di fuga in questo recitato virtuale, strettamente concatenato alla vita...
Dopo l'applauso e l'ovazione finale, come in apertura della pellicola, ecco di nuovo il tetro giro di pesanti porte e chiavistelli che riconduce gli attori al loro destino di carcerati e che stavolta vediamo anche al di la' delle sbarre...
Uomini nuovi riconsegnati adesso ad un vecchio destino....
…...e che ora che hanno conosciuto l'arte vedono per la prima volta trasformarsi, con un velo di tristezza, la loro cella in una “prigione”....
FRANCO – 07 MARZO 2012
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