Gennaio 2011: due settimane nella piazza principale di El Cairo giusto nel momento in cui la “Rivoluzione dei Gelsomini” da Tunisi porta il suo contagio verso l'Egitto, fondendo diverse ribellioni dentro “una primavera Araba”.
Al seguito soltanto una macchina fotografica ed un piccolo registratore digitale da passare di mano in mano, dormendo in terra la notte e dividendo il cielo come tetto assieme a tutti gli altri: così Stefano Savona ha messo insieme le 35 ore di materiale girato dalle quali ha ricavato la pellicola che nel 2012 ha vinto il premio “David di Donatello” nella categoria documentari.
Lui stesso racconta di esser partito immaginando un altro film ma poi “Tahrir si è fatto da solo, trasportato dagli eventi e da una strana forza d'inerzia”: non rimaneva che montarlo presto, prima che l'avvento di “nuova realtà” potesse interferire ed alterare il significato di quanto accaduto e così, una settimana dopo il suo ritorno a casa, il regista stava già lavorando al montaggio.
In “Tahrir” i volti degli Egiziani di ogni età approfittano dell'effetto moltiplicatore offerto dall'obiettivo di Savona e da uno diventano centinaia di migliaia. Si offrono al nostro sguardo di oggi parecchio tempo dopo i fatti avvenuti ma mantenendo un grado di vitalità ancora molto percepibile: davanti ai nostri occhi scorre la testimonianza della Patria che si fa piazza e della massa che scopre - ancora una volta – la forza dirompente dell'agire compatti e criticamente convinti verso un obiettivo.
Persone comuni si imbattono in qualcosa che diviene rapidamente più grande di loro, divengono tessuto vivo della storia del loro Paese quasi per caso, si scoprono eroi giorno dopo giorno, senza nemmeno rendersene conto.
Con un tubo di ferro frantumano il marciapiede per ottenerne sassi con i quali combattere la loro personale “intifada”; con la serranda divelta di un negozio avanzano come una piccola formazione a testuggine, quasi fossero antichi legionari Romani.
In piazza ci sono cristiani, musulmani e laici, diverse classi sociali e non solo le più povere, gente di ogni sesso ed età.
Assieme a moschee e bazar, anche Twitter e soprattutto Facebook, dal gruppo dedicato a “Khaled Said”, l'uomo di 28 anni torturato ed ucciso da due poliziotti - anche se la gente adesso dice che “lo ha ammazzato la costituzione” e che le leggi sono abusate e manipolate – hanno esteso la chiamata a raccolta ed ora una moltitudine di gente presidia la piazza, giorno e notte, intonando cori contro il regime di Hosni Mubarak, l'uomo che per trent'anni è stato al comando di questa nazione che considerava come la sua immensa fattoria.
Gridano che è tempo di vivere liberi o di morire da innocenti!
Molti i primissimi piani di questi “soldati in guerra senza armi” che Savona incastona nella pellicola, volti che adesso si espandono sullo schermo per renderci la rabbia e il ritrovato orgoglio, facendoci sentire come nostre l’ incertezza o la paura, quella che talvolta sale lungo la loro schiena provando a soffocargli l'entusiasmo ed il coraggio.
Ma la realtà nel suo incedere soverchia tutto, dai dubbi alla ragione: la piazza oramai è un simbolo fiammeggiante e non rimane altro da fare che resistere e lottare per tentare di traghettare lontano il presente, verso un “altrove” che da oggi non sembra più soltanto una folle utopia.
Nessuna rivoluzione ha mai una sua precisa data di inizio né si potrà vedere con chiarezza quando sarà compiuta: allo stesso modo nessuno potrà dire con certezza se e quando sarà fallita. Forse oggi, a due anni di distanza, quella Egiziana mortificata da Mohamed Morsi pare interrotta, ma chi puo' dire davvero cosa sta accadendo ora, distante dai nostri occhi. Nessun domani è prevedibile ma solo sconosciuto ed incerto!
Da una distanza ragguardevole, la percezione degli avvenimenti che abbiamo noi Europei è del tutto inadeguata e comunque, in quei giorni del gennaio 2011 a Il Cairo, lontani da piazza Tahrir, anche in Egitto pochi capirono cosa stava accadendo e da fuori sembrò di vedere come Marte dalla Terra; alla televisione il “Rais Mubarak” provò a spargere parole per placare gli istinti ribollenti come si getta acqua sul fuoco ma non fu sufficiente!
Ora sullo schermo strepita ancora, si agita senza posa e discute animatamente tutto quel fiorire di gente che popola la pellicola di Savona: insieme inveiscono contro la dittatura che ha in spregio la democrazia ed è seduta sopra i cuori di tutto un popolo, di quegli uomini e donne che stanno provando a cambiare faccia alla storia ed ora che arriva l'annuncio che il regime è caduto urlano di gioia. Poi, subito dopo affiora il timore di esser stati presi in giro, perchè corre voce che l'esercito ha già sospeso la costituzione.
“L'esercito non è mai stato dalla parte del popolo!” esclama una donna e subito dopo urla alla gente che non si può lasciare la piazza, non ancora: “Se ci allontaniamo siamo perduti. Io no, non me ne vado” dice convinta e fiera.
E’ questa l’immagine che chiude il film, ribadendo che nulla è mai conquistato per sempre e gettando un ponte ideale verso ciò che deve ancora accadere.
“Tahrir” e un documento estremamente vivo ed emozionante, dove si avverte chiaramente che l'obiettivo si è potuto abbeverare direttamente alla fonte degli avvenimenti con continuità, cogliendo la possibilità di filmare un racconto cronologico per immagini di inestimabile interesse, che trascende il suo valore cinematografico.
Radicale la scelta di Savona di non inserire a posteriori altre immagini al di fuori di quelle della piazza: nel suo “Tahrir” niente altro che quelle due settimane alle quali i libri di storia, forse tra qualche decennio, dedicheranno lo spazio che avranno saputo meritare.
Scendono da un balcone fino alla strada ed ora sono a cavalcioni sopra un carro armato; adesso sventolano la bandiera del loro paese o di ogni libertà presente e futura e cantano con rinnovato entusiasmo il loro coro: “Eccoli gli Egiziani, eccoli gli Egiziani!”
Nessun commento:
Posta un commento