Pescatori condannati a morire di fame davanti al proprio mare…
Torme di disperati che dall’Africa “nuotano” alla ricerca di un miracoloso approdo…
Le leggi antiche del mare (…“Io gente in acqua non ne ho lasciata mai”…) e le “nuove leggi” che non rispettano nè l’immenso della natura, nè gli uomini che rischiano di affogarvi dentro…
Emanuele Crialese decide di “intagliare” il suo racconto tra questi “echi” che da anni oramai ininterrottamente dettano i tempi al nostro presente, scegliendo di dare libertà alla parola solo per poche scarne affermazioni, frasi lapidarie o didascalici accompagnamenti proficui piu’ che per una narrazione ridotta già all’essenziale magari per aggiungere alcune precisazioni al contesto generale, tessendo il suo film attorno ad una “storia piccola” e quasi inesistente che però al suo interno accenna ad altre molto piu’ grandi, privilegiando in assoluto una ricerca per immagini molto evocativa, abbandonando volontariamente e da principio lo sviluppo in profondità della sostanza, degli avvenimenti e i personaggi…
L’effetto di insieme è quello di un affresco cinematografico, una tela che si estende tra volti che sembrano strappati ad un pietoso e moderno stile “neo-rinascimentale” e le atmosfere lugubri dei fiamminghi, altre volte colorando di kitsch e musica per turisti…
Nel largo teatro offerto dall’infinito del mare stracarico di morte e di dolore (pessima pubblicità per attrarre vacanzieri in rotta verso la costa…), Crialese apre a visioni da inferno Dantesco di corpi che annaspano nella notte, di teste scure che si dibattono nella schiuma bianca e di bastoni che picchiano sulle mani che tentano di appendersi alla sponda della speranza che ora è una piccola barca (eccolo il “dolore fisico” dei respingimenti, tanto in chi agita il legno che in chi ne riceve i colpi…), ci offre un palcoscenico di onde solcate da pescherecci e gommoni in mare aperto, le accompagna dal giorno alla notte , una notte che pare far fatica a tornare nuovamente giorno…
Chi letteralmente affoga raggiunge la riva esanime, corpi disgraziati intorno ai quali si assiepano ridotte folle di curiosi la cui attenzione sembra non destarsi nemmeno di fronte alla morte, cultori dell’effimero che agitano distrattamente i loro telefonini, scattano foto, asettiche mascherine sui volti di uomini in divisa che eseguono ordini ripetitivi e scordano forse la legge del mondo che dovrebbero tutelare prima ancora dell’ordine costituito…
“Terraferma” colpisce a tratti con rapide sferzate, fendenti dritti verso l’obiettivo, fatti di primi piani ed immagini belle e significative, simboliche molto piu’ che veramente umane, personaggi esemplificativi (l’unico che si “stacca” e vive “in proprio” è forse, ancora una volta, il piccolo Filippo/Puccillo, un eco “Pasoliniano” in tanta buona elaborazione che risulta però al termine un pochino fredda e programmatica…), ma nel suo proporsi come “cinema nella sua interezza” poco trova oltre questo: alle belle riprese dal fondo del mare, cimitero di sandali, scarpe e fotografie e di Madonne salmastre ricoperte di alghe oppure di un marciapiede traboccante di pesci ed indignazione ed alcune forti emozioni che a tratti i volti dei protagonisti riescono a richiamare al loro fianco…
In aggiunta c’è solo l’abbozzo di figure umane che rimpiangono forse i tempi in cui avevano i pidocchi ed i piedi scalzi, l’accenno incompiuto del loro profilo, la natura grandiosa e primigenia dell’isola di Linosa, sputo di terra troppo piccolo sul mappamondo per potersi fare carico del destino di tutto un continente…
Lungo il crinale di questa ambizione di universalità (…mancata…) che avrebbe dovuto farsi largo tra raffigurazioni emblematiche ed incontri/scontri in grado di estrinsecarne gli intenti, Crialese viene a trovarsi scoperto di un vero e proprio racconto o di un “corpo unico”, tanto cinematografico quanto sociale oppure esistenziale, e rimane proteso solamente verso la ricerca della grazia dell’immagine, come potrebbe capitare ad un pittore con in mano il suo pennello che nella tela troppo grande perde il coraggio oppure il dosaggio dei colori, l’equilibrio delle forme….
Il mare che dipinge, paradossalmente, è una tela dalla grandezza smisurata come non sarebbe possibile concepirne di piu’ grande, ma stavolta nessun “Nuovo Cinema (o Mondo...)” riesce a prendere il largo… Si rimane ancorati a magnifici accenni poetici che non straripano, sguardi che aprono su orizzonti lontani ed infiniti che per quanto penetranti accecano con il loro bagliore per il tempo di pochi secondi…dolori e sentimenti eterni da trasmutare in cinema che si incagliano tra le rocce appena sotto il pelo dell’acqua…
Mentre lo scafo spinge in avanti l’elica gira un pochino a vuoto trattenuta da chissà quale forza sottomarina…
….e Crialese non riesce a traghettarci lontano davvero, la dove fino ad oggi gli era sempre riuscito di condurci…
FRANCO - 20 SETTEMBRE 2011
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